Nov 22, 2015

TURBOGLOBALIZZAZIONE E PENSIERO UNICO: IL TERRORISMO COMO ESEMPIO

Senza dubbio oggi siamo soggetti ad una progressiva turboglobalizzazione sempre più impattante in tutti gli ambiti della vita quotidiana. Per questo anche il terrorismo è divenuto globale e segna le nostre vite in una angosciosa “estimità” (una richiesta di effige d'intimità  resa pubblica all'ennesima potenza).
Riassumendo alcuni momenti topici possiamo ricordare che la brutalità dell'11 settembre del 2001 è stato solo l'inizio. Come nei peggiori momenti della “Guerra fredda” si è entrati in una dialettica di azione-reazione, e in una chiara  dinamica turboglobalizzata. Oramai non avviene più a mo' di scambi tra spie in luoghi segreti (come ad esempio, Il terzo uomo), ma sull'estimità", piena di insidie,  dei mezzi di comunicazione globali.

Lo scontro di civiltà di Huntington continua nel “terrorismo globale”  "alimentandosi sia della "società del simulacro di "Baudrillard che dello “schermo globale” di Lipovetsky. La vecchia “scacchiera bipolare” è stata sostituita da  un sistema geopolitico e mediatico molto più complesso, dove tutti quanti competono per il potere, le armi, il petrolio, il denaro, la visibilità oltre che per imporre il proprio punto di vista agli altri.


In questo complesso i notiziari dei  grandi network televisivi sono ancor più decisivi degli eserciti, dei droni e molto più importanti- purtroppo- della perdita di vite umane di ogni fazione. La CNN, insieme ad altri canali d'informazione, compete con Al Jazira per conquistare l'egemonia nel sempre più onnipresente internet e nei nuovi sociali network.

Nell'estimità turboglobalizzata tutti credono di vivere e soffrire in diretta le umiliazioni di orribili attentati scanditi -in una violenta escalation- di altre azioni crudeli. Quello che nel 2001 poteva sembrare un eccezione di un fenomeno estremo, fino al punto di segnare la fine della “sbornia postmoderna” e di sentirsi quasi in obbligo di chiedere scusa per aver pensato liberamente  e in modo anticonvenzionale ad un autore come Jean Baudrillard.

Allo stesso tempo si è invertita -come conferma Bauman- la tendenza nelle società occidentali avanzate di aumentare al massimo le libertà personali diminuendo le esigenze di sicurezza. In effetti, quella era la tendenza generale a cavallo tra la crisi dei missili a Cuba (1962) e l'attacco alle torri gemelle dell'undici settembre del 2001. Alla fine del secolo, invece, è cominciata un inversione di tendenza fino ad invertire le proporzioni tra la richiesta di più sicurezza a discapito di una maggior più libertà da parte della società civile e  dell'establishment. Dopo decenni desiderosi di libertà, sembra che torniamo ad essere  più smaniosi di sicurezza. Almeno quando ci sentiamo attaccati da fenomeni estremi e con  molto clamore mediatico  come nel caso del  "terrorismo globale".
 
Sotto molti punti di vista è chiaro oramai che le cause, gli antecedenti e forse gli “errori geostrategici” che hanno portato alla versione turboglobalizzata attuale del terrorismo globale e alla “guerra asimmetrica” innanzitutto iniziano-, senza andare troppo indietro nel tempo- in Afganistan. Ricordiamoci che lì si dirama il conflitto sovietico-talebani con aiuti e gli interventi  militari da parte dell'"inteligence" statunitense. Quest'ultima evidentemente è risultata molto deficitaria ed è all'origine del terrorismo jihadista di Bin Laden e di Al Qaeda.

Gli avvenimenti si sono susseguiti rapidamente e oggi sono ben noti. Bin Laden e Al Qaeda hanno mollato gli ormeggi e iniziato un nuovo corso: per esempio nell'intervento degli Stati Uniti in Somalia nel 1993 o negli attentati alle ambasciate statunitensi nel 1998. Da questo momento in poi si mettono  in scena incubi apocalittici anche dopo la morte di Bin Laden nel 2011. Come è successo a Hitler e ad  altri dittatori del passato, l'immaginario collettivo ne coltiva il culto e allo stesso tempo ne è spaventato. Per questo motivo, in un mix di forza mediatica e di  illusione ideologica, conservano un grande fascino e mobilitano nuovi combattenti.
In una e crescente paranoia globale che sacrifica le istanze di libertà in cambio di promesse di sicurezza, il terrorismo si retroalimenta di una struttura carceraria -non  ancora smantellata- come  Guantanamo, di guerre punitive “neocon” e della  lotta per il controllo di risorse strategiche  come  il petrolio, come accade a partire dall'occupazione dell'Irak nen 2003.  L'11 settembre 2004 a Madrid viene letto dal governo spagnolo in chiave locale e come un attentato dell'ETA, ma in realtà formava parte del terrorismo turboglobalizzato.  E' evidentemente inseparabile da molti attentati internazionali come quello di Londra nel 2005 o Algeri nel 2007.
Senza dubbio e nonostante abbia colpito specialmente l'Occidente avanzato, la crisi post2008 ha contribuito ad incrinare ancora di più i rapporti e ad aumentare i conflitti.
E' significativo il fatto che i cosiddetti “indignati” non hanno ancora trovato  un minimo spazio nella politica ufficiale. Partiti anch'essi dal mondo turboglobalizzato  dalla Penisola Iberica (15-M-2011) sono arrivati in  Brasile (giugno 2013), passando da Occupy Wall Street.  Le nuove forme politiche che essi reclamano da lungo tempo appaiono bloccato, mentre continua ancora la  durissima della crisi nei paesi del Mediterraneo quali Grecia, Portogallo e Spagna, ma che ha colpito duramente pure l'Italia, la Francia...
Allo stesso tempo è evidente che il totale  fallimento (tranne lper a Tunisia) della primavera araba e della guerra in Libia (2011) ha causato un aumento complessivo dei conflitti armati. Inoltre, la guerra civile siriana (iniziata nel 2012) si è sommata al conflitto israelo-palestinese come una bomba esplosiva permanente, non solo in Medio Oriente, ma in tutto il mondo turboglobalizado. Potenze occidentali come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, con l'apporto decisivo della Russia  di Putin, sotto la sorveglianza attiva della Cina, stanno intervenendo sempre più in Medio Oriente in una pericolosa escalation di violenza.
L'esplosione brutale del terrorismo dello Stato islamico (2004 in Iraq), si estende su gran parte del Medio Oriente, in particolare a partire dal 2012. Lo Stato Islamico approfitta in modo  “turboglobalizzante” di un ingente finanziamento da parte dei ricchi regimi prosalafiti, di un sentimento di umiliazione diffuso e di una recrudescenza dell'odio generalizzato. In questo modo riesce ad ottenere "combattenti" jihadisti provenienti da tutto il mondo e - in modo significativo - anche cittadini francesi, britannici, belgi ...
Lo Stato Islamico trasforma in una efficace arma di propaganda omicidi di massa e filmati esecuzioni-spettacolo. In modo infido e sadico utilizza queste  crudeli brutalità contro l'Occidente, insieme all'infausta distruzione del patrimonio storico. Tuttavia, anche se -in questo momento- è l'ISIS che fa uso di queste tattiche, pare, purtroppo, divenire una strategia comune per  parte dei maggior parte degli attori nell'attuale "guerra asimmetrica".
Ciò che una volta era considerato "necessario", ma top secret se non addirittura ignobili atti  di guerra, oggi divengono atti di terrorismo "estimicamente" ostentati per esacerbare l'odio. Sicuramente le potenze occidentali come gli Stati Uniti (con la Francia, Gran Bretagna e Russia sempre più coinvolte), continuano in maniera più discreta la "guerra ai terroristi", nonostante si stia  assistendo ad una escalation di violenza verbale  e aggressività militare. Non c'è dubbio che la tecnologia dei droni da guerra abbia introdotto un mix pericoloso composto da un  efficacia bellica accompagnata da "esecuzioni senza processo" senza il minimo controllo democratico.
Questa dinamica retroalimentata con l'escalation di azione-reazione  viene sfruttata dal fanatismo dello Stato Islamico. Il suo "terrorismo globale" è escogitato in modo  "spettacolistico" per condizionare  il mondo intero, inoltre, trova facili consensi nel  riverbero xenofobo occidentale. Purtroppo, nemmeno la Francia colpita dagli attacchi a Charlie Hebdo e Parigi nel 2015, sembra aver imparato nulla dall'esperienza successiva all'11 Settembre 2001.
Il reclutamento militare e terrorista dello Stato islamico avviene parallelamente alla migrazione di milioni di persone. Qui non si può dimenticare l'ambiguità opportunistiche delle potenze come la Turchia di Erdogan o della Russia di Putin. Questi Stati, essendo stati  recentemente vittime di attentati, a volte distorcono la realtà, altre volte negano gli attacchi (solo all'ultimo momento, la Russia ha ammesso che un suo aereo è stato distrutto da una bomba sul Sinai).
Nella terribile prospettiva turboglobalizzata  che abbiamo appena illustrato la cosa peggiore è assistere alle imponenti catene umane di civili innocenti costretti a fuggire dalla guerra e dal terrorismo in condizioni disumane, affidando le proprie esistenze alla sorte attraversando il Mediterraneo, i Balcani, nonché le steppe slave e russe.

Queste persone sognano un rifugio in un'Europa che li teme e che, sempre più, sembra scivolare verso una deriva xenofoba sacrificando i propri ideali umanistici  a vantaggio delle destre. Come quasi sempre, quando le società si sentono minacciate pesantemente, i leader  approfittano per esercitare o simulare una forte leadership populista. In tali circostanze, tutti i politici, tra cui l'"uomo normale" Hollande devono dimostrare, o dare l'impressione, di avere la situazione sotto controllo. Almeno quanto sarebbe in grado di fare la nuova "Lady di ferro" francese  Marine Le Pen.
Naomi Klein ha spiegato la queste dinamiche nella sua Dottrina dello shock, e la demoscopia tende a confermare la facilità con cui   le società sottoposte ad uno  stress inaspettato  si schierano rapidamente e in modo impulsivo con dittatori  salvo poi rammaricarsene  per decenni. Nelle prossime elezioni avremo la possibilità di verificarlo.
Si sarà d'accordo con noi che la turboglobalizzazione  non procede  allo stesso modo in tutti i suoi molteplici aspetti. Per quanto riguarda i rischi per l'uomo (come suggeriva Beck due decenni fa), la tecnologia, la delocalizzazione dell'economia ed i flussi finanziari sono molto più avanti delle impellenti risposte politiche, delle tutele essenziali  del lavoro e di un effettivo sistema di  difesa dei diritti umani.
Anche un  pensiero unico nato dal capitalismo neoliberista e dal "consenso di Washington" agisce da "filtro" di fronte  alle catastrofi, alle crisi e alle emergenze umanitarie. Funziona anche come una cieca legittimazione di una  turboglobalizzazione pericolosamente disumana. Dobbiamo approfondire le cause e gli effetti, spesso ben nascoste quanto inaspettate.

Trad. Cristiano Procentese (Dr. internazionale U. Barcellona - U. Venezia "Ca' Foscari")

 

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