Cos'è oggi la filosofia? Sembra inevitabile
la necessità di ripensare periodicamente alla natura di ciò che chiamiamo
filosofia. È inevitabile perchè questo spazio del sapere e del pensiero umano è
quello che ha sofferto più cambiamenti radicali nella storia dell'umanità.
Questo è logico se si capisce che è stato probabilmente il primo, visto che
filosofia significava saggezza, scienza, e addirittura pensiero in senso rigoroso.
Nel corso della
tempo, dal vasto ambito della filosofia si sono scissi e resi indipendenti
generi como la matematica, la teologia, la fisica e l'antropologia, la biologia
e la logica... Tutta l'ampia gamma delle discipline concrete e specifiche si sono
separate dal tronco comune che è stata la filosofia per più di due millenni.
Sembra che l'ambito che aspirava alla totalità del sapere –amore o aspirazione
al sapere è la definizione etimologica di filosofia– facesse vergognare e
repellesse quegli ambiti di sabere che non eran più aspirazioni, ma scienze,
discipline consolidate.
Al filosofo è
restato lo spazio intellettuale che è rimasto dopo che i saperi scientifici si
son resi indipendenti. Tant'è che oggi, dopo la consolidazione non solo delle
scienze fisico-matematiche, ma anche delle biologiche, della salute, e
addirittura delle scienze umane e sociali, sembra che la filosofia sia passata
da considerare il tutto a non considerar più niente. Sembra che, da aspirazione
alla totalità del sapere qual'era, si è ridotta a una aspirazione
fantasmagorica, mancante di concretezza empirica, come spesso si dice.
Non è strano quindi
che, oggi, una delle risposte più difficili da dare è quella alla domanda: che
cos'è filosofia? Questo ambito sembra destinato a parlar di tutto e,
allo stesso tempo, non può parlar con legittimità tecnico-scientifica di
niente. Allo stesso modo si presenta un altro problema: cos'è la storia della
filosofia se non si limita a una specie di archeologia intelletuale –di
mantener la memoria di quel che è stato e non è più– e che senso ha? Che cos'è
la storia della filosofia se non vuol essere né il ricordo degli errori
dell'umanità o delle peculiarità intellettuali del passato, né la somma
integrata della storia della matematica, della teologia, della fisica,
dell'antropologia, della biologia, della logica, eccetera?
Queste domande sono
inevitabili oggi che la gente –forza legittimativa– vuol sapere da cosa può
trarre vantaggio, quali sono le aspettative di lavoro e la richiesta sociale
del lavoro intellettuale. La filosofia, se vuol continuare ad avere un posto
nell'educazione e nell'evoluzione socialmente maggioritaria del pensiero, deve
riuscire a dare una risposta a queste domande. E lo deve fare sia con una
prospettiva pratica che con una teorica.
Questo è,
evidentemente, un compito degno di Sisifo; il titano condannato dagli dèi
olimpici a spingere eternamente verso la cima di una montagna un enorme roccia,
che immancabilmente, tornava rotolando verso valle. La filosofia, a causa del
sui ambiti in eterna trasformazione e non delimitati strettamente –quando un
ambito si definisce, finisce per convertirsi in una scienza o disciplina
autonoma–, per la difficoltà e complessità dei problemi che si pone, è una
materia di difficile definizione. Deve cercare di definirsi senza per questo
entrare in contrasto con la mutevole situazione teorica dei saperi, anche se,
ogni volta che ci riesce, si transforma in tal modo che deve ricominciare il
suo sforzo da capo.
La filosofia tesse
un meraviglioso arazzo di Penelope che, quanto più meraviglioso e complesso,
quanto prima sarà scomposto per iniziare di nuovo. In filosofia un esito
constituisce, allo stesso tempo, un nuovo campo del sapere e la rimessa in
questione della propria identità.
Quindi si capisce
come mai la filosofia resti sempre inconclusa, in un eterno processo di
definizione, incamminata verso la sua impossibile costituzione scientifica. Di
questa (tragica o fortunata) circostanza è cosciente il cattedratico
dell'Università Autonoma di Madrid Félix Duque. Come tutti i filosofi, prima o
poi, affronta il problema e propone una risposta. Il suo libro Los destinos
de la tradición. Filosofía de la historia de la filosofia, pubblicato da
Anthropos, affronta questa sfida partendo da un solido confronto che presenta
come figure centrali Aristotele, Dilthey, Kant, Hegel e Heidegger.
La posizione de Hegel e Heidegger sembra essere, per il professor Duque, la parte più interessante della sua proposta. [...] Evidentemente, la proposta completa di Félix Duque va oltre gli aspetti che qui possiamo trattare, ma vogliamo discutere essenzialmente la sua definizione di filosofia. Partendo da un'analisi del “senso metafisico d'esperienza” questo professore caratterizza la filosofia in opposizione ai saperi tecnici: quelli che cercano un utilità immediata e concreta, alla ricerca della quale delimitano un campo concreto nel quale gli studiosi si assegnano il ruolo di periti. In questi saperi tecnico-scientifici si sbarra il passo agli “affezzionati”, siano queste persone che non ci si dedicano professionalmente, o persone che solo cercano di riflettere sulle questioni poste.
Come tutti sappiamo, la definizione del filosofo è sempre stata una cura d'umiltà. Sempre si è definito come amante, affezzionato, aspirante o amico del sapere, ma mai come depositario di una verità assoluta. Così, al contrario di quel che fanno i saperi tecnici, la filosofia rimane sempre un campo aperto a qualsiasi persona che medita e riflette a partire da un uso franco e rigoroso delle proprie facoltà intellettuali.
La posizione de Hegel e Heidegger sembra essere, per il professor Duque, la parte più interessante della sua proposta. [...] Evidentemente, la proposta completa di Félix Duque va oltre gli aspetti che qui possiamo trattare, ma vogliamo discutere essenzialmente la sua definizione di filosofia. Partendo da un'analisi del “senso metafisico d'esperienza” questo professore caratterizza la filosofia in opposizione ai saperi tecnici: quelli che cercano un utilità immediata e concreta, alla ricerca della quale delimitano un campo concreto nel quale gli studiosi si assegnano il ruolo di periti. In questi saperi tecnico-scientifici si sbarra il passo agli “affezzionati”, siano queste persone che non ci si dedicano professionalmente, o persone che solo cercano di riflettere sulle questioni poste.
Come tutti sappiamo, la definizione del filosofo è sempre stata una cura d'umiltà. Sempre si è definito come amante, affezzionato, aspirante o amico del sapere, ma mai come depositario di una verità assoluta. Così, al contrario di quel che fanno i saperi tecnici, la filosofia rimane sempre un campo aperto a qualsiasi persona che medita e riflette a partire da un uso franco e rigoroso delle proprie facoltà intellettuali.
La filosofia si
oppone a qualsiasi dogmatica –che fissa un verità per sempre– e garantisce la
possibilità che tutti, d'accordo alla propria capacità intelletuale, possano
cercare di riflettere razionalmente. È quindi aperta –come possibilità–
all'esame, la critica o la meditazione della ragione o del senso comune –il buon
senso, come lo chiama ironicamente Cartesio.
Fin'ora abbiam
sottolineato la liberalità della filosofia. Però quest'apertura
universale a chiunque voglia fare valere la propria ragione non implica
l'identificare la filosofia con il regno del bla-bla-bla insulso o con
la mancanza di rigore. La filosofia non è nemmeno il regno dei visionari o
delle ragnatele mentali di cui già parlava Kant. Non si afferma che la
filosofia voglia andare più in là dell'empiria, dell'esperienza, ma,
anzi, essa basa la propria riflessione nella ricerca di un significato
dell'esperienza. Cerca la comprensione –molto più complessa della mera
spiegazione– della ragione o logica (logos) dei dati empirici.
La filosofia parte dal fatto che i dati empirici individuali solo hanno un senso e vengono dati a partire da una totalità dotata di senso. Per questo non è un sapere che cerca il senso concreto e isolato di un determinato tipo di dati. È invece una ricerca che affronta la totalità dell'esperienza umana, cosa che implica considerare l'insieme dell'esperienza e del sapere dell'umanità nella storia. La filosofia non fugge davanti all'esperienza, ma la considera con massima ampiezza. Per questo non può dimenticare con facilità –come fanno le scienze particolari– la storia del pensiero umano (in gran parte sintetizzato nella storia della filosofia). Deve affrontare la tradizione di pensiero ed esperienza umana –anche se spesso questa si vede ridotta alla tradizione occidentale a partire dalla Grecia.
È per questo motivo
che la filosofia –malgrado la propria liberalità– richiede una grande
esigenza intellettuale. Deve affrontare né più né meno che la tradizione completa
del pensiero –con volontà di complessità teorica che non è mera erudizione.
Per questo crediamo che Duque consideri la tradizione come il medium nel
quale si muove ed è la filosofia.
Così si capisce,
forse, quest'espressione di Heidegger e Gadamer che tanto sorprende: non
diciamo il linguaggio o la tradizione, sono questi che ci dicono. La filosofia,
come esperienza e discorso, si costruisce in un dialogo costante con la
tradizione filosofia e, quindi, è condotta dal linguaggio che questa stessa
tradizione ha composto.
Fare filosofia e non
cadere nell'ingenuità implica lo sforzo d'assimilare la tradizione di pensiero
che ci permette di essere quel che siamo. Ma, allo stesso tempo, assimilare
questa tradizione non è cosí semplice perchè non implica solo erudizione ma
anche e soprattutto comprensione. Lo sforzo per essere contemporanei in
filosofia –cioè per essere all'altezza di quel che oggi possiamo pensare senza
ripetizioni ingenue– implica un processo d'interpretazione della tradizione
filosofica ereditata. Quanto è più profonda questa interpretazione, quanto più
implica creazione, una comprensione creativa del passato e del presente.
Essere contemporanei
implica interpretare la tradizione filosofica dal punto che illumina il
presente. Per questo, la filosofia non è mera archeologia, non ha niente a che
vedere con la conoscenza di pensieri morti e sepolti. Si fa filosofia della
storia perchè è la storia del nostro presente. Dalla storia della filosofia,
quindi dalla comprensione creativa e attuale della tradizione, si può
illuminare il presente, la proiezione attuale di quella tradizione.
Questo non implica
aggiungere una carcassa erudita che impedisce la considerazione con occhi nuovo
dei vecchi problemi, o la scoperta di nuovi problemi, ma semplicemente è il
tentativo di non dimenticare la possibilità forse più valida di fare un
discorso contemporaneo, di essere capaci di comprendere il mondo concettuale
attuale. La novità solo si sottolinea in uno sfondo di permanenza, un'idea
nuova solo si può formulare a partire da vecchi concetti.
La filosofia è più
cosciente di questa circostanza che le altre discipline, visto che la sua
natura incompleta può essere il luogo privilegiato della novità, del pensiero
creativo. Certamente, se non è all'altezza di questo compito, fallisce; ma non
dobbiamo dimenticare che quando riesce nel suo intento si emancipa un nuovo
sapere, lasciandola ancora più sola a doversi riconstruire e toranare ad
affrontare il suo destino di Sisifo intellettuale. (Traduzione: Mosè Cometta)
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